Alessandro Tasinato
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Il culto dei luoghi in-culti

Un sesto di Universo Elegante. 

17/2/2016

 
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​“L’Universo elegante
” è il titolo di un saggio di Brian Greene pubblicato in Italia da Einaudi di cui possiedo un’edizione del 2006. Ogni anno cerco di superare la sessantatreesima pagina, quella che introduce al paragrafo sulla “curvatura del tempo”, ma pare che qui sia destinata ad arenarsi la mia capacità di comprensione. Il libro di pagine ne ha quattrocento e se riuscissi ad arrivare alla fine probabilmente mi sentirei anch’io soddisfatto delle “dimensioni nascoste” che ha l’Universo e saprei meglio comprendere questa benedetta “teoria ultima” (così si legge nel sottotitolo) di cui i fisici sono andati alla ricerca in questi ultimi anni e di cui la registrazione delle onde gravitazionali - avvenuta lo scorso settembre negli osservatori di Livingston (Louisiana) e Hanford (Washington) e confermata ufficialmente i giorni scorsi - costituisce, se ho ben capito, la prova effettiva.
Quello che ho compreso nel primo – e sino ad oggi unico – sesto del libro basta a riempirmi la testa. Ogni volta tento di ripetermi ciò che ho capito ma ho la sensazione di inciampare. Ad ogni modo c’è un qualcosa che comunque mi è rimasto. Tento di dirvelo, a vostro rischio e pericolo.

Che cos’è la Realtà? Normalmente confondiamo la Realtà con ciò che i nostri sensi o le nostre capacità ci consentono di rappresentare. Ma quella è appunto soltanto la sua rappresentazione. Un esempio banale: un pittore che dipinge un paesaggio ha a disposizione una tela. Tutto va bene quando si trova a disegnare la facciata di una casa la quale, al pari della tela, ha soltanto due dimensioni: altezza e lunghezza. Qualche problema invece vien fuori quando si tratta di dare spessore alla casa o di inserire la profondità dello spazio che la separa dalle montagne all’orizzonte: qui le dimensioni cominciano a essere tre, la tela continua ad averne soltanto due e il pittore deve pertanto ricorrere ad un artifizio che è la prospettiva. Decisamente peggio, anzi un disastro, quando il pittore decide di rappresentare il modo in cui il paesaggio varia nel tempo. Qui, con una tela soltanto, non ce la fa. Eppure il tempo fa parte della Realtà di quel paesaggio – ci mancherebbe! – ma il pittore non ha sufficienti “strumenti” per rappresentarlo.

La fisica moderna sino ad oggi si è (ma, dopo la grande notizia di questi giorni, è il caso di dire “si era”) divisa in due categorie di pittori: i fisici che avevano strumenti adeguati a dipingere oggetti grandi e pesanti come stelle e galassie e quelli che avevano strumenti più adatti a dipingere oggetti piccoli e leggeri come molecole e atomi. Queste due categorie di pittori facevano egregiamente il loro mestiere, ma in modo rigorosamente distinto in quanto la tela usata dagli uni non poteva essere usata dagli altri e viceversa. Erano strumenti che presentavano diversi profili di incompatibilità, il che costituiva un grosso limite se si pensa che, stelle e galassie, molecole e atomi, fanno parte a tutti gli effetti della stessa Realtà. Ed ecco che la “teoria ultima” fornisce una nuova tipologia di tela, uno strumento che può essere usato adeguatamente da entrambi. La registrazione delle onde gravitazionali – ci viene detto – costituisce la prova del nove di questa teoria, il fatto cioè che la nuova tela veramente funziona ed è adeguata a rappresentare la Realtà a tutte le scale.

Ora, ci si chiede quante e quali dimensioni può contenere questa bellissima tela con la quale l’Uomo potrà – per i prossimi anni – dare la propria e più onesta versione della Realtà. Il libro di Brian Greene costa solo 13 euro e non posso che augurare a chi vuole una lettura che vada oltre il primo sesto del libro. Io questa tela me la immagino un po’ come Greene lo suggerisce, una dimensione curvilinea dello spazio-tempo, un Universo che in un certo senso fa le pieghe.
In questi giorni è stato ricordato come alla morte di un suo collaboratore nonché strettissimo amico, Albert Einstein scrisse un commovente messaggio di cordoglio alla sorella di questi. «Cara Signora» – scrive Einstein – «Michele è partito da questo strano mondo poco prima di me, ma noi, che lavoriamo nella Fisica, sappiamo che il prima e il dopo non esistono, sono soltanto una nostra cocciuta illusione». Einstein, che un secolo fa aveva teorizzato le onde gravitazionali di cui abbiamo appena avuto una conferma empirica, aveva ben chiaro cosa intendeva con quel messaggio e cosa fosse esattamente la dimensione curvilinea dello spazio-tempo. Io mi devo sforzare, ma è un sforzo che oggi sento necessario, imprescindibile.
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Se la scienza punta a conoscere la Realtà e la religione a conoscere la Verità, allora credo che mai come in questa circostanza il bisogno di scienza sia stato così vicino al bisogno di Dio.
Qualche tempo fa, un’amica di famiglia poco più che cinquantenne si è malata di Alzhaimer. I medici le hanno le fatto una diagnosi irreversibile, incasellando la nostra amica tra le affette di questa patologia. Ecco, quando penso a quella persona, alla sua patologia, al suo disorientamento spazio-temporale, al fatto che dall’oggi al domani si possa perdere capacità, memoria e senno, non posso non immaginare che quella persona si sia rannicchiata in una di queste pieghe che fa l’Universo. E che il suo sia uno stato esistenziale semplicemente diverso, a me e a gli altri attualmente non accessibile. Stessa cosa quando penso al dolore (la morte di un figlio?) o al fatto che si debba prima o dopo sparire. Sparire? Gesù Cristo ha detto di no, Einstein in un certo senso pare dargli ragione. E io ho bisogno di credere, in questo caso ad entrambi.

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